sabato 3 gennaio 2009

L'infanzia.


Dagli alberi in fiore a primavera non si può capire quale sarà l’andamento dell’annata, quale sarà il raccolto. Le gemme che turgide scoppiano all’aprirsi del fiore, sono simbolo d’un lieto aprirsi ad un anno nuovo di speranza. Ma potrebbe non essere così…Un ritorno improvviso dell’inverno, gelando quei fiori potrebbe bruciare le speranze d’un abbondante raccolto. E poi la grandine che s’addensa improvvisa nei cieli, potrebbe strappare i frutti dall’albero prima che siano giunti a maturazione. E il vento impetuoso dei temporali estivi potrebbe persino sradicare la pianta, sradicando anche la possibilità per nuove fioriture, per nuove primavere.
Come per le piante, così per gli uomini…Chi avrebbe potuto immaginare osservando Onelio, un bambino così scatenato, così pieno di vita che negli anni tra il 1932 e il 1937 frequentava la scuola elementare a Bertiolo, che la sua vita sarebbe stata così diversa, da come la si sarebbe potuta immaginare, guardando alla sua vitalità, a quel suo carattere che gli impediva di star fermo un momento? Chi avrebbe potuto immaginare che in quella furia scatenata, avrebbe potuto maturare l’idea di farsi prete? Ma soprattutto chi avrebbe potuto immaginare che il destino, riservava a quel bambino una vita ben diversa da quella che il suo carattere l’avrebbe portato a vivere. Ora la mamma e la maestra si dannavano inutilmente per ottenere che smettesse di agitarsi, la vita avrebbe pensato a ridurlo su una carrozzella, progressivamente impedito in ogni suo movimento, fino a ridurre il suo corpo ad un tronco senza vita, che continuava tuttavia ad opporsi al destino per dare linfa ad una mente sempre viva, sempre innovativa.
Onelio Ciani è nato a Virpo una piccola frazione del Comune di Bertiolo il 24 febbraio del 1926. Così dovrebbe iniziare una vera biografia ufficiale. Ma pure se si volesse prescindere dalla vita così originale e particolare che il destino gli riserverà da grande, anche raccogliendo in paese le notizie sulla sua infanzia, si capisce subito che è impossibile raccontarne la vita nella forma asettica e distaccata della biografia. Sin da bambino la sua vita è stata un romanzo, del quale Onelio s’è trovato a fare l’involontario protagonista.
Aveva appena sei mesi quando la sua famiglia si trasferì dalla frazione di Virco al capoluogo di Bertiolo, in quella che sarà la casa di riferimento per l’infanzia e la giovinezza. La casa c’è ancora, rimessa a nuovo, intonacata e dipinta, lascia ancora intuire la struttura originaria d’una grande casa colonica a due piani. Una costruzione tipica dell’architettura rurale del Friuli. Davanti un grande cortile, e dalla parte opposta all’ingresso, gli orti il “vignal” e poi i campi…
Era l’ultima casa del paese e si apriva quindi sulla distesa sconfinata di campi della campagna friulana. Ma allo stesso tempo era centrale rispetto al paese. Dà infatti su una via che si stacca da quella principale al centro del paese, all’altezza della Chiesa, e che porta direttamente nella campagna. E’ anche la strada sulla quale si affaccia la canonica, per cui Onelio da ragazzo nel raggio di centro metri aveva casa, canonica e Chiesa.
Già nel fatto che i suoi genitori fossero finiti ad abitare nella via attorno alla quale si sviluppo il Borc di Pressec, e che collega in pochi metri quelli che saranno i punti di riferimento della sua vita, si potrebbe ritrovare un primo segno del destino che lo porterà a farsi prete. A pochi passi da casa c’era la Chiesa che frequentava ogni mattina, facendo il chierichetto. Ogni giorno, alle sei di mattina. Quando d’inverno era ancora buio e si doveva correre in quel breve tratto di strada per sgranchirsi a riscaldarsi. E c’era freddo anche dentro la Chiesa. L’aria espirata s’addensava in piccole nuvole, come nuvole d’incenso. Al Santus il suono del campanello per diffondendersi nella navata sembrava dovesse riuscire ad incrinare la cappa d’aria gelida che riempiva la Chiesa.
Gli costava fatica stare fermo e composto come richiedeva il parroco, ma per i chierichetti c’era anche quella che oggi si direbbe una “paghetta”. Molto modesta, ma comunque importante per un ragazzo che veniva da una famiglia non certo benestante.
I suoi si erano trasferiti nella casa di Bertiolo come coloni delle Suore della Divina Provvidenza, che detenevano la proprietà sia della casa sia dei campi che coltivavano. Pagavano un affitto annuo come i coloni, ma dovevano anche lasciare alle suore metà dell’uva e della produzione di bachi da seta, come se fossero stati mezzadri e provvedere anche alle legna per la casa delle suore. Era una situazione normale e molto diffusa nella campagna friulana, costituita da grandi latifondi gestiti da coloni e mezzadri. Una condizione che consentiva alle famiglie dei contadini di avere di che vivere ed allevare i figli, e che consentirà alla famiglia di Onelio di mantenerlo in Seminario. Perché, come si diceva al tempo, un segno che Dio ti ha prescelto come suo ministro è anche quello di averti fatto nasce in una famiglia che riesce a sostenerti economicamente per avere l’istruzione necessaria per diventare prete.
Nella grande casa colonica vivevano assieme due famiglie. Nonno Tin il patriarca, con le famiglie dei suoi due figli Guglielmo e Tarcisio (Ciso) con le rispettive mogli Taide e Tunine (Atonia) e i figli. In tutto undici persone. Guglielmo il padre di Onelio, alla fiera di S.Simone a Codroipo, aveva conosciuto Taide. Raccontava sempre d’aver avuto un vero colpo di fulmine dal quale era nato subito, prima ancora del matrimonio, Onelio. Come da quel colpo di fulmine avesse potuto nascere addirittura un prete, non riusciva a capirlo. Del resto anche la moglie quando parlava del figlio in seminario, parlava d’aver “perso” un figlio.
I genitori di don Onelio frequentavano la chiesa tutte le domeniche e le feste comandate, come tutti in paese, ma non erano persone particolarmente legate alla chiesa, non erano dei bigotti, direbbero le sorelle che ho contattato per avere notizie sull’infanzia di don Onelio, e certo non c’era nulla nel comportamento di Onelio ragazzo alunno delle scuole elementari che facesse presagire la sua scelta di entrare in seminario. “Era un vero monello” aggiungono le due sorelle, ricordando una serie di aneddoti dai quali emerge la figura d’un ragazzo estremamente vivace, ma che sapeva suscitare una immediata simpatia sia tra i coetanei che tra gli adulti.
Non gli piaceva il lavoro dei campi ed i genitori facevano fatica a coinvolgerlo e farsi aiutare da lui, ma poi sapeva far diventare un gioco il lavoro monotono e faticoso di pompare l’acqua dal pozzo per abbeverare le bestie della stalla. Aveva invece una grande manualità e gli “andava di mano” qualsiasi lavoro da artigiano.
Nei ricordare la sua infanzia più che la casa, senza illuminazione elettrica, don Onelio ricordava il cortile, con un grande cocolàr (noce), sul quale amava arrampicarsi per nascondersi, ed un grande moràr (gelso) il luogo preferito per la caccia ai passeri. Quella della caccia ai passeri era stata una sua grande passione da ragazzo, sia con il flobert che con la fionda. Passeri che poi finivano in padella ad integrare il povero menù quotidiano. Finchè non gli capitò di assistere all’agonia di un passero che aveva ferito. Avrebbe dovuto ucciderlo, come sapeva fare e come altre volte aveva fatto, spezzandogli il collo tra le proprie dita. Ma non trovò il coraggio, e fu costretto ad assistere all’agonia del povero uccello.
Fu per lui come una prima illuminazione sul dolore della natura e rinunciò immediatamente alla sua passione di cacciatore. Il grande noce non c’è più, ma il “moràr” c’è ancora, così come lo ricordava quando orami in carrozzella rievocava la sua infanzia “scapestrata”.
Ma il primo vero incontro con il dolore dell’umanità, con “l’incomprensibile” disegno della vita degli uomini, è stato quello della morte della sorella Nella. Aveva già sei anni nel 1932 quando è nata la sua seconda sorella. Una età nella quale un ragazzo è già in grado di avere sentimenti di provare emozioni. Un ragazzo a sei anni prova un attaccamento istintivo ed immediato per la sorellina appena nata. Nella si era rivelata subito una bambina eccezionale che a sei mesi già diceva mamma. Ma a sei mesi, con la frase con la quale commentava anche la sua vicenda personale, “nell’imperscrutabile disegno della Provvidenza”, la sorella è venuta a mancare. A sei anni non si ha ancora coscienza di che cosa significhi vivere, di che cosa significhi morire. La morte viene spiegata ad Onelio con la scelta di Dio di prendersi Nella tra i suoi angeli. L’invidia “perchè Dio ha scelto lei e non me”, s’unisce alla sofferenza “perchè lei non c’è più”.
“Ma quando per la prima volta è arrivato a casa a dire che avrebbe voluto farsi prete?” chiedo alle sorelle.
Scrivendo una biografia si deve cercare di mettere in evidenza quali sono stati i momenti più importanti nella vita che si vuole raccontare. Nella vita d’un prete, la scelta di farsi prete, costituisce il momento chiave di tutto il resto della sua vita. Per questo avrei voluto sapere qualcosa di particolare sul momento della decisione di don Onelio. Ma le sorelle non hanno un ricordo preciso al riguardo. Anche l’interessato quando gli ponevo con insistenza la domanda, mi rispondeva che in verità non c’era stato un momento preciso. Non è detto che la vocazione e quindi la scelta di farsi prete, debba essere il risultato di un colpo di fulmine o di una improvvisa illuminazione. E’ più facile che sia un percorso nel quale tanti elementi spesso anche casuali e marginali ed apparentemente ininfluenti, concorrono a formare la decisione.
La vita dell’uomo è come una sorgente d’acqua che non ha un alveo dove scorrere. Non si sa quindi quali percorsi possa prendere, dove possa sfociare. Mentre scende incontra ostacoli che l’arrestano, che la fanno deviare ora da una parte ora dall’altra. Qualcuno dall’esterno la indirizza in un senso o nell’altro alzando degli argini, scavando l’alveo. Alle volte si incanala dove è stata indirizzata, altre invece tracima, rompe gli argini, e trova percorsi nuovi rispetto a quelli che qualcuno gli voleva imporre dall’esterno. Così per la vita dell’uomo, così per la vocazione, mi diceva don Onelio, quando insistevo per capire quale era stato il momento cruciale per la scelta che poi avrebbe condizionato tutta la sua vita.
A undici anni un ragazzo non è ancora in grado di scegliere. Una serie di fattori e di circostanze, e non un fatto preciso, l’avevano indotto a valutare con interesse la scelta di farsi prete, e quindi di entrare in seminario per seguire il percorso di formazione che porta un uomo a diventare ministro di Cristo. Ha influito senz’altro la sua frequentazione della Canonica, a pochi passi da casa sua, del parroco Mons. Celledoni e del capellano pre Dante Gregoris. Ha influito probabilmente il fatto che al tempo che il rettore del Seminario diocesano fosse di Bertiolo, e che quindi logicamente avesse cercato di stimolare il formarsi di nuove vocazioni nel suo paese. Era già entrato in Seminario Gelindo Ciani, suo amico, di due anni più anziano di lui. Ha influito senza dubbio il ricordo della sorella morta, che era tra gli angeli di Dio e che, pensava, Dio gli aveva assegnato come personale angelo custode. Quando con le sorelle salivano le scale per andare a dormire, scherzavano recitando le preghiere per i morti come aveva insegnato loro la madre. Ma poi, da solo sotto le coperte, mentre aspettava il sonno pensava al suo personale angelo custode. Farsi prete avrebbe significato in qualche modo starle più vicino, restare sempre in contatto con lei.
Una serie di elementi esterni che hanno indotto l’acqua a prendere un percorso non usuale per un ragazzo.
Non è stata comunque una scelta nata in famiglia. Anche se la famiglia non ha fatto nulla per ostacolarla. Al tempo una famiglia di contadini per il figlio primogenito e per giunta l’unico figlio maschio, immaginava altri percorsi di vita. Come si è già ricordato mamma Taide parlava del figlio seminarista come d’un “figlio perso”, il padre era anche più esplicito nel criticare una scelta che toglieva alla famiglia braccia da lavoro. Le sorelle tuttavia non hanno un preciso ricordo di quando don Onelio un giorno è arrivato a casa per comunicare questa sua intenzione, e di come la prospettiva d’un figlio prete, sia stata accolta in famiglia.
Comunque, indipendentemente da quale sia stata la causa e la motivazione, dato certo della biografia è che l’ottobre del 1937, finite le scuole elementari, don Onelio entra in Seminario a Castellerio per frequentare la prima media.

Nessun commento:

Posta un commento